VENAFRO. Oggi, 22 aprile, ricorre la “Festa della Terra”. Al riguardo ben volentieri pubblichiamo questo contributo della maestra Rosaria Alterio:
Per la sottoscritta il passato, come per tutti gli anziani del resto, è una pellicola in bianco e nero, senza ombre e incertezze (che a volte invece e purtroppo appaiono nel presente). Un particolare però mi sfugge: “Cosa si buttava negli anni Cinquanta – Sessanta, nei mucchi di rifiuti, a cielo scoperto, nelle immediate periferie dei vari rioni della città?
Si sa che allora i veri inceneritori erano i camini all’interno delle case, ma quel qualcosa che pure si scaraventava direttamente dal “secchio dell’immondizia” sul piccolo cumulo all’aperto rimane tuttora per me un buffo punto interrogativo. Non c’era (proprio nel dopoguerra) la plastica, non c’erano lattine, batterie, contenitori di alcun genere. La carta era quasi introvabile, qualche foglio si piegava e si ripiegava per eventuali e sicuri ricicli; non c’era esubero di medicine, gli indumenti si usavano fino alla esalazione dell’ultimo respiro. Residui di cibo? Nemmeno a parlarne!… Il vetro pressochè prezioso. Le pentole, ad esempio, fino a che non si bucavano nella parte inferiore, duravano a dir poco una generazione. Sentii una volta mio padre avvertire mia madre che l’acqua bollendo nella pentola (“tianella”) nera smorzava il fuoco perché fuoriusciva da un buchetto. – Non fa niente – lo informò la mamma – è solo sotto il manico e mi sono regolata con il livello dell’acqua. – Poi aggiunse quasi arrabbiata – Non posso mica buttarla! È ancora nuova. – Mio padre pensò che forse aveva ragione. E non batté ciglio. Si mangiava in piatti sbrecciati con estrema noncuranza, per qualcuno più grande che si era rotto, provvedeva l’aggiustapiatti, con vistosi punti…, a mettere assieme i cocci. Per gli ombrelli rovinati c’era l’ombrellaio che si adoperava a mettere in vita decrepiti ombrelli desiderosi di olbìo, per le scarpe consumate c’era il calzolaio che, tra l’altro, provvedeva a sistemare sotto il tacco e sotto la punta dei ferretti semicircolari per proteggerli dall’usura: un po’ come i ferri sotto gli zoccoli dei cavalli. Per le prime calze di nylon c’era una ragazzina a Portanuova che riprendeva con un ago particolare le maglie “scappate”: dieci lire a maglia e le calze tornavano nuove. Se si rompeva la “corda” alla sveglia sul camino c’era l’orologiaio nel suo botteghino, più tardi, quando cominciarono a circolare gli orologi a batteria, cambiò mestiere. Di tanto in tanto però qualcuno, ambulante, si fermava in piazza dietro un tavolino con delle sveglie da riparare e col suo monocolo si metteva a lavoro… Ora hanno scritto e scrivono trattati sull’inquinamento atmosferico, delle falde acquifere, della terra e del mare. Ci sono dibattiti, seminari molto qualificati, trasmissioni televisive e via discorrendo. Dopo l’immancabile sproloquio iniziale consentitemi solo una veloce modesta considerazione sulle buste di plastica della spesa che nella loro “innocente” piccola praticità hanno intasato letteralmente la Terra. Pensate ogni famiglia quante ne consuma ogni anno, tutti i giorni! Pensate pure alla moria di grossi pesci soffocati da queste buste! (Si dà perfino un premio ai pescatori che quelle buste non le ributtano in mare!) Eppure lo sanno tutti che sono indistruttibili e inquinanti al massimo! Però ci voleva “la legge” che ne vietasse l’uso. Finalmente la legge è arrivata! Evviva! Ma con la superficialità e l’incoerenza di chi legifera quelle biodegradabili non circolano proprio dappertutto. La superficialità e l’incoerenza anche della gente ha generato altre resistenze. – Queste nuove sono fragili, si strappano con facilità – commentano in molte. Qualcuna “più comprensiva” l’ho sentita dire: – E quelli che le fanno devono rimanere ora senza lavoro? – Fanno quelle biodegradabili di corda, di vimini, di stoffa… – Le ha risposto un’altra che quelle di plastica non le ha mai usate.
La Terra è nostra, di tutti ed è ancora bella: rispettiamola e amiamola, ci dirà grazie silenziosamente, senza esserne costretti da leggi e leggine. È proprio il minimo che possiamo fare ed è alla portata di tutti!
Certo non possiamo limitare transiti non necessari di aerei e di auto, non abbiamo poteri su fabbriche e petroliere senza ferrei controlli, né su usi indiscriminati di concimi chimici e pesticidi, di gas dannosi, di discariche abusive, di sperperi di energia elettrica, di mancanza di raccolte veramente differenziate… (anche se qualcosa, nel nostro piccolo, si può sempre fare), impedendo però, alla Terra di ingoiare ancora solo un’altra busta di plastica sarà il nostro piccolo, grande regalo. E non solo ovviamente nel giorno della sua festa!
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