VENAFRO. In un recente libro di una scrittrice che peraltro stimo, ho trovato piú volte la “c” apostrofata («Fino a poco tempo fa non c’ha davvero pensato», «Sopra c’aveva messo…»,«… c’ha pensato qualche volta…», «… un giorno nessuno c’avrebbe piú pensato.», «… c’ha camminato in mezzo.», «… c’ha pensato…», ecc.). La “c’” sta ovviamente per “ci”, ma si può apostrofare davanti a alle vocali A, O, U e davanti alla H? Io direi proprio di no, perché conserverebbe il suono gutturale, per cui se si trova scritto “c’avrebbe”, si dovrà pronunciare “cavrebbe” e non “ciavrebbe”, per il semplice fatto che la C davanti ad A ha suono gutturale e non palatale. E allora? Allora, non va messo l’apostrofo ma va scritta per intero la parolina “ci”: “ci ha”, “ci aveva”, “ci avrebbe”, ecc.
Lo so che Renzo Arbore e i suoi compagni di cordata nella trasmissione “Cacao Meravigliao” cantavano “c’è chi c’ha e chi non c’ha” (c’è chi cià e chi non cià), ma Arbore, con la sua ironia, si può permettere ogni licenza.
In un italiano, senza ascendenze dialettali, dovremmo dire “c’è chi ha e chi non ha”, ma se proprio vogliamo metterci quella parolina pleonastica, dovremo metterla per intero, quando dopo c’è una della vocali A, O o U, oppure H. Dunque: “c’è chi ci ha”, anche se nella pronuncia il suono della C si fonde con quello dalla A: “cià”.
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