VENAFRO – L’acquerello venafrano della maestra Rosaria Alterio

La Molisana Natale plastica
Boschi e giardini di Emanuele Grande
mama caffè bar venafro
stampa digitale pubblicità black&barry venafro
Smaltimenti Sud

VENAFRO. Tra il vecchio lavatoio pubblico e l’altrettanto antico abbeveratoio degli animali c’era e c’è incastonata una bella casotta, prima solo un po’ malandata per intemperie, terremoti…, ora, dopo una veloce ripulitura esterna, è piombata in degrado senza fine. Con le piccole finestre, completamente senza infissi, davvero come occhiaie vuote, lascia intravedere uno squallore pauroso all’interno, il giardinetto al lato pieno di sterpi e quel perenne fruscio dell’acqua nelle orecchie, se proprio vogliamo dare un’ anima, deve sentirsi proprio esausta e infelice.

Non le dà sollievo nemmeno l’importante lapide con la scritta latina che dovrebbe impreziosirne la facciata rovinata dove si parla di un mulino fondato da Donato Ligorino e al quale successivamente Deodatus Gomez Cardosa Antistes ‘ricostruì i muri e aggiunse le stanze’. La data stessa anno 1828, ne fa un reperto archeologico, senza però il rispetto e la cura che questo esigerebbe!

Forse quel vecchissimo mulino, che poi divenne una casa, ha dimenticato perfino una certa affinità che l’accomuna, nell’incuria del tempo e degli uomini, alla palazzina Liberty, alla quale peraltro è legata, in qualche modo, da un rapporto di parentela.

Suppongo a questo punto che nessuno piangerà per lo ‘stato di animo’ di una casa, ma sicuramente ci sarà in giro della curiosità per quella famiglia che, abitandola per ultima, la rese calda e felice, tanti anni fa.

In quella casa abitarono per una vita (che io ricordi dal dopoguerra in poi e per molti anni) tre donne sole.

Sul terrazzino, al quale si accedeva con pochi gradini esterni, c’era sempre una graziosa vecchina, vestita di scuro, con i capelli raccolti in una crocchia proprio alla sommità del capo e gli occhiali proprio sulla punta del naso, che lavorava eternamente i merletti al tombolo. Si sistemava sempre nello stesso angolino verso la strada, tra una parete della casa e il muretto che fungeva da ringhiera, sotto un bel pergolato. Solo d’inverno spariva in casa, ma mi è difficile immaginarla qui lavorare al suo tombolo.

Si sentiva dalla strada il ticchettio dei fuselli, lisci fino all’inverosimile, che le ballavano allegramente tra le dita sottili e abbronzate come il viso, le sole parti del corpo che avesse scoperte per la sua permanenza all’aria.

Zia Teresina, così si chiamava, rispondeva ai saluti delle donne che si recavano al lavatoio distogliendo solo per un attimo gli occhi dai suoi preziosi merletti che, all’ora, sapeva fare solo lei, a Venafro. Quando però andava a trovarla il figlio Armando, ormai con i capelli bianchi anche lui, e si tratteneva un po’ seduto dirimpetto a lei, sempre sul terrazzino, come nel piccolo salotto di casa, e le parlava piano, lei smetteva di lavorare e lo guardava sorridendogli lievemente mentre lo ascoltava.

Viveva con due figlie, entrambe nubili: una ricavava dal minuscolo giardino, al lato della casa, superbi mazzi di fiori a chi glieli richiedeva per varie circostanze.

I bouquet avevano tutti la stessa struttura: dietro qualche grossa foglia e fiori dal lungo stelo, come gigli, dalie… poi la balza fragrante di fiori più piccoli: zinnie, fresie… a seconda della stagione. Lei stessa portava il nome di un fiore, Margherita.

Industriosa come un’ape, infaticabile come una formica, vendeva anche pezzi di sapone e candeggina alle donne che si recavano numerose al vicinissimo lavatoio. Teneva la ‘merce’ in un piccolo fondaco, leggermente al di sotto del piano stradale, una specie di ‘basso’. Il ‘negozio’, senza vetrina naturalmente, funzionava anche d’inverno con la porticina di legno un po’ accostata.

Le donne, con le bacinelle in testa, non potevano entrare, era lei stessa a passare nelle loro mani, arrossate dal freddo e dai pesanti lavori domestici, il pezzo di sapone o la bottiglietta di varechina sfusa, che travasava da un boccione di vetro verde, munito di un rubinetto nella parte inferiore, che aveva nel retro. Sembrava una bimba un po’ cresciuta che stava giocando ‘alla bottega’. Una bottega decisamente fuori dal comune. I ‘controlli’ di licenze e permessi vari, così inflessibili oggi, la ignoravano e i negozianti ‘regolari’ non si lamentavano. -Loro pure devono campare! Figuriamoci solo per un pezzo di sapone e un po’ di candeggina!- Margherita tirava fuori chissà da dove anche solo qualche scatola dei primi detersivi apparsi sull’esiguo mercato, tipo OMO o OLÀ. E come se non bastasse la si vedeva seduta sul muretto, accanto alla mamma, lavorare pure lei a raffinati ricami. Ciò si verificava però di tanto in tanto, evidentemente per lei era solo un ripiego, quando cioè aveva esaurito la scorta di sapone e non c’erano in giro onomastici da festeggiare con mazzi di fiori.

Emma, l’altra figlia di zia Teresina, era bassa e grassottella, sempre curata nel vestire, con i capelli nerissimi arricciati a permanente anni ’30; non usciva se non si era passata un po’ di rossetto sulle labbra. Gestiva una lavanderia molto personalizzata a Portanuova in un modesto locale dirimpetto alla stazione di benzina della ‘Esso’. Qui i clienti portavano gli indumenti e lei, a sua volta, li portava in una grossa valigia e con la corriera a una lavanderia vera, a Cassino. Quando li andava a ritirare portava con sé un’altra valigia per il prossimo turno. La si vedeva perciò salire e scendere dalla corriera con una grossa valigia sempre piena. Per fortuna il suo locale era vicino alla fermata. Spesso il fattorino che allora faceva i biglietti sulla corriera, o anche l’autista di turno, soste permettendo, le davano una mano. Non so a Cassino, ma efficiente e disinvolta quale era, sicuramente aveva chiesto e ottenuto una fermata particolare solo per se’, il più vicino possibile alla lavanderia vera. Nel suo locale aveva ricavato, con un separè, uno spazio interno dove stirava alla perfezione gli indumenti e nella parte anteriore, dove riceveva i clienti, aveva sistemato un grosso tavolo sul quale li faceva esaminare dagli stessi dando loro utili suggerimenti su smacchiature effettuate e successive stirature mentre li avvolgeva in grossi fogli di carta. Intanto fissava su un blocchetto altre consegne. Non c’erano allora scontrini fiscali e nemmeno qui forse particolari licenze o tasse insostenibili. C’era un piccolo affitto per il locale e passione, competenza e precisione per tanto lavoro. Con le sue capacità e la sua intraprendenza avrebbe potuto dirigere oggi una catena di lavanderie. Quando tornava a casa per la pausa del pranzo la si vedeva d’estate concedersi una pausa sempre su terrazzino con una comoda vestaglietta senza maniche e farsi vento sul viso con un ventaglietto: doveva soffrire molto il caldo tra corriere, valigie e stirature.

Due figli di zia Teresina (tra maschi e femmine ne aveva otto o nove), entrambi elettricisti, abitavano nella palazzina ‘Liberty’ sul laghetto, accanto alla centrale dell’Enel, e il comune permetteva alla mamma con le due sorelle di abitare gratis in quella casa.

In quella casa, tanti anni fa, la vita, tra fiori, merletti e ricami, scorreva rapida e dolce, quasi sonnacchiosa come l’acqua piovana in un fosso senza che pastoie, burocrazia e immondizie varie ne ostruissero la corsa.

Maestra Rosaria Alterio

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Facebooktwittermail

PUBBLICITA’ »

momà
Colacem Sesto Campano
fabrizio siravo assicurazioni

resta aggiornato »

WhatsApp Molise Network

seguici »

Facebooktwitteryoutubeinstagram

PUBBLICITA’ »

Colacem Sesto Campano
momà
fabrizio siravo assicurazioni

resta aggiornato »

WhatsApp Molise Network

seguici »

Facebooktwitteryoutubeinstagram

aziende in molise »

Edilnuova Pozzilli
Bar il Centrale Venafro
Esco Fiat Lux Scarabeo
Agrifer Pozzilli
error: