
VENAFRO – C’era proprio all’inizio dell’anno scolastico, il giorno di San Francesco, la Giornata del Risparmio, le rondini che migravano…
Seguivano Natale con presepi ed abeti; Carnevale, con maschere alle finestre e catenelle di leggere carte colorate; Pasqua, con coloratissime uova disegnate in tante dimensioni, nuvole di pulcini, alberi di pesco in fiore, lavoretti manuali e fiabe per tutte le ricorrenze…
I corsi di aggiornamento che accompagnarono la riforma dei “moduli”, negli ultimi decenni del secolo scorso, fecero abbattere queste dolci scansioni, quasi fossero peccaminose e nella scuola iniziarono nuovi percorsi.
In quella scuola dove non c’era confusione di ruoli, di valutazioni, di conoscenze (queste ultime poche, basilari, sicure), dove però vigeva sovrana l’unitarietà dell’insegnamento per cui da una materia qualsiasi scaturivano senza sforzo tutte le altre rispettando i processi mentali dell’infanzia, c’era, pur tra trascurabili ed inevitabili manchevolezze, tempo e calma per tutto: calma per consumare una merenda e giocare un po’ fuori (tempo anche non rigorosamente permettendo) e tempo, nel corso dell’anno per leggere un bel libro per indirizzare, educare ed eventualmente appassionare i piccoli alunni al piacere della lettura.
Quell’anno, in quella quarta adottai “fuori programma” (senza trascurare proprio quelli ministeriali) un libro intitolato: VACANZE ALL’ISOLA DEI GABBIANI di Astrid Lindgren.
È una famiglia di Stoccolma, padre con quattro figli, che va in vacanza per la prima volta all’Isola dei Gabbiani (Saltkrikan), l’ultima dell’arcipelago del Mare del Nord, dopo la quale c’è soltanto il mare aperto, all’infuori di anatre gabbiani e altri uccelli marini su qualche disabitato brullo isolotto.
Il padre, Melker, ha scelto questa località, dove ha preso una vecchia casa in affitto, semplicemente perché gli piaceva il nome; l’Isola dei Gabbiani, appunto.
Le avventure cominciano già sulla nave che costeggia “cento isole verdi e mille scogli grigi che Pelle, il più piccolo di sei anni, esplora da cima a fondo, fa amicizia con una bimba che viaggia col nonno Soderman e una cornacchia in una gabbia. Melker sogna ad alta voce l’isola e la casa, la casa del Falegname, entrambe finora sconosciute. La figlia Misa, di diciannove anni, controlla i due fratellini, Johan e Niklas, rispettivamente di dodici e tredici anni, Pelle di sei (che avevano perso la mamma quando quest’ultimo era nato) e deve controllare anche il padre, scrittore affermato, tenero e sprovveduto come un bambino. Misa parla e ride un po’ con un giovanotto pure lui, passeggero sul Gabbiano I e i due fratellini più grandi si arrabbiano un po’, come ogni volta che qualche giovanotto ronza un po’ intorno alla loro Misa. Poi la buttano sullo scherzo: – Dovremmo metterle al collo un cartello con: – Divieto di Ormeggio – fa Niklas. Ridacchiano insieme, ma il magone nascosto resta. E Pelle ad esternarlo ad alta voce: – Come potremmo cavarcela se un bel giorno Misa decidesse di sposarsi e “così via?” Era sicuro però di “non correre questo rischio” perché Misa era stata una mammina prima fragile, infantile, quasi piagnucolosa, poi era diventata sempre più brava a soffiare nasi, a lavare, a sgridare, ed abbracciarli e a preparare vettovaglie…
- All’isola saranno tutti ad accoglierci!. Predice il padre. Invece c’è solo una bambina immobile sotto una pioggia scrosciante. Sembra la padrona e la guardiana dell’isola “per tutti i tempi a venire”. Ha un enorme come accanto e sembrano tutti e due nati dal molo stesso. La bimba, scopriranno poi, si chiama Ciorven e il suo cane Nostromo. Sull’isola, abitata da un pugno di persone, conosceranno altri ragazzi e si muoveranno, nei loro giochi e nelle loro avventure sul mare come se fosse la piazza, una strada della loro città.
E qui mi devo fermare con la trama. Si vivacizzò la lettura di questo libro assegnando ora ad uno, ora all’altro il ruolo dei protagonisti in divertenti drammatizzazioni.
Impararono a conoscersi in queste nuove identità, a stabilire tra loro simpatici rapporti arricchendoli spesso delle loro esperienze. Se ne estrapolarono brevissimi pezzi da mandare a memoria scegliendoseli a loro piacimento. Solo per citarne qualcuno: la dolce Lorena, diventata poi veterinario, predilesse, non uno, ma più pezzi dove si parlava di “Nostromo”, il cane gigante di Ciarven capace di “pensare e sentire come una persona, anzi meglio”, secondo Teddy, un ragazzo dell’isola, Lamberto decise di fare propria l’esperienza rocambolesca di Melker che appena arrivato nella vecchia casa, nel tentativo di far funzionare la vecchia stufa che sbuffava fumo in cucina (prima ancora di controllare la valvola che infatti era chiusa) salì sul tetto solo per il suggerimento di Ciorven perché “forse” un gufo morto aveva ostruito il camino. Luca, timido e introverso, sorprendendomi un po’, scelse ciò che Misa scrisse nel suo diario quando vide per la prima volta l’Isola dei Gabbiani: “Misa, Misa, dove sei stata in tutti questi anni? Quest’isola stava qui ad aspettarti, calma e silenziosa, ai limiti dell’arcipelago, con le sue piccole darsene per le barche, e le reti nell’acqua…
Che cosa avrà pensato Dio mentre creava quest’isola? “ Voglio fare una mescolanza incantevole”, ecco che cosa deve aver pensato. “Deve essere brulla: piccoli scogli grigi e nudi. Ma voglio anche farla bella: alberi verdi, querce e betulle, prati e boschetti fioriti, si, perché voglio che tutta l’isola sia piena di roselline selvatiche e biancospini candidi a grandi cespi, quel giorno di giugno fra miriadi di anni, quando Misa Melkerson verrà qui”. Non sono vanitosa, sono solo tanto allegra perché al buon Dio venne in mente di fare l’Isola dei Gabbiani proprio in questo modo, e in nessun altro, e poi la depose per caso come un gioiello ai limiti…” Mi sorpresi a pensare che pure io, da alunna, avrei scelto quel pezzo, ma non solo per questo continuai a guardare quel bimbo taciturno con più attenzione per approfondirne la conoscenza. Procediamo.
La frequenza con cui si usò il vocabolario ne sveltì l’uso. La diversità dei luoghi li incuriosì nel campo della geografia e delle scienze. Il discorso diretto che si svolgeva con la protagonista giornaliera che sedeva al posto di Ciorven (perché tutte le bambine volevano identificarsi a turno per un po’ nella bionda, grassottella, ma anche impertinente Ciorven) fu pane quotidiano, anche la corrispondenza a distanza non mancò quando Ciorven se ne tornava per un motivo o per l’altro nella sua isola, a Natale, per esempio o quando era costretta a rimanervi per un po’ (magari per una infreddatura che non doveva essere raro prendersi in un posto così a nord). Allora a chi si doveva offrire quel giorno, quel pezzo di merenda particolarmente buona? Si accettava la proposta più bizzarra. Nel caso di una soluzione che non mettesse proprio tutti d’accordo, si “concedeva” alla maestra che accettava sempre di buon grado e nessuno più protestava, almeno apertamente. Si giocava perciò anche con questo lungo racconto. Gli alunni ne erano consapevoli, ma ci “credevano” Le due facce, realtà e fantasia, si confondevano e ne scaturivano momenti gioiosi della vita scolastica (del resto anche i piccolissimi fanno torte di terra, ma si guardano bene dal mangiarle!). stranamente giocando, giocando, perfino l’analisi grammaticale non fu proprio di una noia mortale, si rideva ad esempio con passato remoto e i participi dei verbi irregolari che man mano si incontravano. Si imparò, sui moduli presi all’ufficio postale, a compilare un telegramma, inventandosi un testo da spedire a qualche abitante dell’isola che ormai erano nostri amici, molto spesso diretto a Nostromo, con l’immancabile dicitura da parte di Ciorven: – La tua “calabroncina” ti tiene nel cuore! Ci vedremo presto! – Ciorven ci assicurava che Nostromo “lo avrebbe letto”. Si affidava poi al bidello per la spedizione, complice segreto del gioco. Conservo ancora qualche letterina che gli alunni scrivevano a Pelle, a Misa e perfino a Melker durante le vacanze estive.
Ascoltavano e volevano risentire spesso la lettura dell’aurora boreale che la mia amica camperista, con la quale condivido tutte le letture, mi inviò dall’Isola dei Gabbiani diretta a Capo Nord mentre col marito ed altri camperisti effettuavano una deviazione per conoscere un gruppo di isole ancorate al Circolo Polare Artico e congiunte tra loro da tunnel sottomarini: “Là, sopra il mare, una striatura di verde lascia un sospiro nel cielo e svanisce. Poi subito, dietro al tetto di una casa, un altro alone vere, ed è un susseguirsi di fantasmi verdi che solcano il cielo, si avvolgono, disegnano zig-zag, sfumano, ricompaiono, si fanno più intensi, si perdono dietro le montagne o nel mezzo del mare”. Si cimentarono nel disegno di tale descrizione e ne vennero fuori piccoli capolavori molto personalizzati. Una mattina, ormai prossimi alla chiusura della scuola, chiesi al volo ai miei ragazzi: – Cosa starà facendo Ciorven? – (che nel frattempo era tornata all’isola).
- Starà sul molo con Nostromo ad osservare chi scende dalla nave – esordì il primo.
- Starà cercando il modo di guadagnare qualche corona da regalare a Pelle, quando tornerà per le vacanze, per consolarlo della morte di Jacke, il suo coniglietto-.
- Starà piantando del trifoglio fresco sulla piccola tomba di Jacke –
- Se i Melker sono già all’isola controllerà da vicino zio Melker per suggerirgli “lo strappo giusto” per qualcosa che si accinge a fare.
- Starà convincendo Tina a baciare insieme un rospo per trasformarlo in principe per convincere Misa poi a sposarlo -.
Ciorven ci aveva raccontato di aver salvato, assieme agli altri ragazzi dell’isola una piccola foca che si era smarrita nei pressi della riva, racchiudendola nell’anfratto di uno scoglio e nutrendola con latte e aringhe. Poi, constatando che il posto era diventato troppo angusto, con il cuore “compresso dalla tristezza”, l’avevano lanciata nel mare aperto regalandole la libertà. Perciò un altro buttò lì – Starà scrutando il mare per vedere se la piccola foca starà passando da quelle parti per salutarla… chissà poi se si riconosceranno!…
La dolce Lorena espresse timorosa un suo dubbio:
- Speriamo che non si perda nella nebbia se sta sulla sua barca, come quella volta -…
Insomma i piccoli alunni pensavano perfino ormai con la mente della simpatica isolana. La sorpresa finale fu quando, all’inizio del nuovo anno scolastico, portai loro a vedere la cartolina di saluti che Ciorven ci inviò dalla sua terra durante le vacanze estive. I piccoli alunni guardarono increduli la nuvola di gabbiani, i francobolli dietro e il saluto da tanto lontano della loro “amichetta” – Non sembra la scrittura di Ciorven – notò una più perspicace, proprio come se l’avesse “riconosciuta”. È quella certamente della sua mamma – tagliò corto un’altra.
Forse per ringraziarci dell’ospitalità che abbiamo dato, nella nostra scuola, alla sua figlioletta – “Vacanze all’Isola dei Gabbiani” ci catturò tanto di quel tempo che quegli alunni, forse all’epoca, non impararono l’uso dei congiuntivi proprio alla perfezione. Non ne provo rimorso (tanto oggi è perfino blasfemo conoscerlo correttamente), ma ebbero per un attimo, un varco aperto all’immaginario, provarono quel brivido di emozione, di libertà traboccante, mozzafiato, come quando, forse, ci si lancia con un paracadute.
Maestra Rosaria Alterio
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