
INQUINAMENTO – Quello che è certo – sostiene l’Ocse – è che, in assenza di un cambiamento di rotta, c’è di che preoccuparsi. Nei prossimi 35 anni la richiesta di energia aumenterà dell’80%. E, se saranno sempre i combustibili fossili a soddisfare l’85% della domanda trainata dai paesi emergenti, “il degrado e l’erosione del nostro capitale naturale rischia di aggravarsi da qui al 2050 causando cambiamenti irreversibili che potrebbero mettere in pericolo i benefici ottenuti in due secoli di miglioramento della qualità della vita”.
I fenomeni estremi prodotti dal cambiamento climatico già in atto (crescita delle alluvioni, intensificazione della violenza delle piogge alternate a siccità più severe) saranno esasperati da un aumento del 50% delle emissioni serra causato in larga parte dal consumo dei combustibili fossili. La concentrazione di gas serra in atmosfera schizzerebbe a 650 parti per milione (la concentrazione di CO2 era a 280 parti per milione all’inizio dell’era industriale) e l’obiettivo di mantenere la temperatura entro un aumento massimo di 2 gradi verrebbe vanificato. Il termometro subirebbe una salita stimata tra 3 e 6 gradi, con conseguenze drammatiche su tutti gli ecosistemi.
Il 10% della biodiversità terrestre verrebbe cancellato, una vera e propria decimazione della vita, e la superficie delle foreste mature diminuirebbe del 13%. “Di qui al 2050 il cambiamento climatico diventerà, secondo le proiezioni, il principale fattore di riduzione della biodiversità. E l’impoverimento della biodiversità minaccia il benessere umano, soprattutto quello delle popolazioni rurali povere e delle comunità autoctone”, scrive l’Ocse. Questo impoverimento e la perdita dei vantaggi legati ai servizi ecosistemici comportano un danno globale compreso tra 2 mila e 5 mila miliardi di dollari per anno secondo lo studio Teeb.
La domanda di acqua aumenterà del 55%. Il 40% della popolazione mondiale (2,3 miliardi di persone in più rispetto a oggi) vivrà in zone sottoposte a uno stress idrico elevato e non sarà possibile soddisfare la crescente domanda di irrigazione. Inoltre 1,4 miliardi di persone non avranno a disposizione acqua sicura dal punto di vista sanitario.
Questo è lo scenario legato al cosiddetto business as usual. Ma – ricorda l’Ocse – esistono alternative. Ad esempio una politica di carbon pricing capace di dare un prezzo adeguato alle emissioni di CO2 permetterebbe di ridurre i gas serra del 70% bloccando la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera a 450 parti per milione (oggi sono 400). La crescita economica rallenterebbe solo dello 0,2% all’anno (meno 5,5% di Pil al 2050): “molto poco rispetto all’inazione che, secondo alcune stime, potrebbe ridurre il consumo medio per abitante del 14%”. Inoltre nei paesi emergenti non agire costerebbe dieci volte di più della lotta all’inquinamento.
Un’altra misura considerata efficace è la soppressione dei sussidi che danneggiano l’ambiente. Ai combustibili fossili sono stati concessi nel 2010 – si legge nel rapporto – 410 miliardi di dollari da parte dei Paesi emergenti e in via di sviluppo, e, negli ultimi anni, altri 44 – 75 miliardi di dollari per anno da parte dei paesi industrializzati.
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