RIFORMA COSTITUZIONALE – Flick: “Prima di cambiare la Costituzione, qualcuno dovrebbe almeno leggerla”

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CAMPOBASSO – “Prima di modificare la Costituzione bisognerebbe rileggerla, anzi qualcuno dovrebbe almeno leggerla. Questa riforma non mi piace nel metodo con cui è stata elaborata e presentata, e nel suo contenuto. Certo, la Costituzione non è una mummia intoccabile, ha 70 anni e va messa a punto, ma non in questo modo. Il progetto stravolge la seconda parte relativa all’organizzazione dello Stato, ma intacca anche la prima parte, quella dei principi, dei diritti e dei doveri“.

Lo ha affermato, nella Sala della Costituzione, Giovanni Maria Flick (presidente emerito della Corte costituzionale), nel corso di un incontro dibattito organizzato dal Movimento V Stelle.

Per cambiare la Carta – ha affermato – occorre coesione, dialogo e attenzione come dimostra l’articolo 138 che prevede due passaggi in ciascuna Camera a distanza di un preciso lasso di tempo. In questo caso invece non si è cercato un accordo tra le forze del Paese, ma è stata imposta una riforma a colpi di fiducia senza tener conto dei suggerimenti. Il progetto è stato condotto dietro continuo stimolo di governo e presidente emerito della Repubblica (tra l’altro confermato alla carica con un iter non previsto dalle regole), ma come diceva Piero Calamandrei, quando si discute di Costituzione i banchi del governo dovrebbero restare vuoti. Essa infatti dovrebbe essere solo frutto del lavoro del Parlamento che la elabora e del popolo che la convalida o no”.

Il costituzionalista punta il dito anche sul modo in cui la stessa è stata presentata: “Prima hanno trasformato il voto costituzionale del referendum in una sorta di plebiscito sul presidente del consiglio, ma la Costituzione non serve a mandare a casa o mantenere in sella alcun Governo. Poi ci hanno detto di cambiare Costituzione perché ce lo chiedeva il presidente della Repubblica; ancora dopo ci hanno descritto la scelta referendaria come alternativa drastica tra un futuro radioso e un futuro apocalittico. Poi sono arrivati a dire che dobbiamo votare la riforma perché ce lo chiedono i mercati, le agenzie di rating, le società internazionali, addirittura gli ambasciatori. Ebbene, costoro possono chiederci di combattere la corruzione, semplificare le leggi, far funzionare l’amministrazione, costruire infrastrutture, ma nessuno può dirci come organizzare lo Stato, che è un problema che riguarda noi e la nostra sovranità. Infine ci hanno detto di votare la riforma anche se contiene errori che poi correggeremo, ma a me non va di votare una legge sbagliata con la riserva di correggerla”.

Non un giudizio negativo tout court. “Della riforma – ha continuato Flick – mi piace l’abolizione del Cnel, il voto di fiducia concesso a una sola Camera, la qualificazione del Senato in termini di più stretti legami con le regioni”. Ma qui è l’intera impalcatura a non tenere e così si entra nel merito della riforma: “Quando devo leggere alcune nuove norme, per come sono scritte, prendo un’aspirina. E già lo stesso quesito referendario ha un titolo capzioso, che unisce tante cose in contraddittorio tra loro: una furbata”.

Sul piano tecnico: “Si è passati dal decentramento eccessivo previsto dalla riforma del 2001 a una volontà di accentramento eccessivo. Dal Bicameralismo perfetto si passa al Bicameralismo malfatto. Innanzitutto per la sproporzione dei numeri con una Camera da 600 persone e un Senato di 100 che però mantiene competenze in materia costituzionale. E poi un Senato che accoglierà rappresentanti di regioni diverse come si comporterà quando ci sarà da dirimere le controversie tra le Regioni? Poi c’è la questione della composizione, un mix ancora poco chiaro tra indicati dai consigli regionali e scelti dal popolo, con consiglieri e sindaci chiamati al doppio lavoro e ai quali sarà garantita l’immunità parlamentare.

Stiamo percorrendo la via della complicazione e non della semplificazione – ha aggiunto il giurista – I conflitti di competenze tra Camera e Senato verranno sciolti grazie all’intesa dei due presidenti ed è assurdo perché così si aumenterà il tasso di conflittualità in nome di una semplificazione che non c’è. Sulla votazione del presidente della Repubblica a Camere unite il quorum si abbassa in modo che dopo un tot di votazioni possano decidere in pochi. Inoltre si annuncia il potenziamento dello strumento referendario da introdurre però con una legge costituzionale successiva che chissà mai se arriverà. E non ci vengano a dire che ad esempio in Germania già sono organizzati allo stesso modo, perché la situazione lì è ben diversa. Tra l’altro è illusorio modificare gli strumenti quando non si modifica il ruolo e la mentalità di chi manovra quegli strumenti.

Il referendum è la più alta forma di democrazia diretta a patto che il popolo sappia cosa vota. Settant’anni fa un referendum di principio unì il Paese, oggi rischiamo di dividerlo con un referendum tecnico, ma prima di tutto ricordiamoci che è quasi più importante la libertà di votare rispetto al principio per il quale si vota. Io – ha terminato Flick – sinceramente non mi sento di votare una legge di cui si è consapevoli che è fatta male”.

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