VENAFRO – La storia umana e di fede dei Santi Martiri Nicandro, Marciano e Daria

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VENAFRO – Mercoledì 17 maggio appena trascorso riti religiosi per “ Sant’ Ncandriegl’ “, che cade trenta giorni prima della ricorrenza patronale vera e propria della città. Il 16, 17 e 18 giugno prossimi le feste patronali di Venafro, anche se i tre giorni festivi canonici diverranno quest’anno cinque (dal 15 al 19) sia per la concomitanza di domenica 18 col Corpus Domini e la conseguente impossibilità di tenere nello stesso giorno la tradizionale processione conclusiva dei festeggiamenti patronali, rito che per il 2017 slitterà di 24 h a lunedì 19, e sia per la volontà di aprire il 15 con una serata lirica come avviene da anni. A metà giugno perciò i festeggiamenti civili e religiosi in onore dei Santi Martiri venafrani Nicandro, Patrono della città e Protettore della Diocesi d’Isernia/Venafro, Marciano e Daria con massiccia partecipazione popolare. Precederà, come detto, il 15 il “Concerto per un Martirio”, ideato anni addietro dal movimento “I Venafrani per Venafro” e diventato appuntamento inamovibile. Nel mezzo tante celebrazioni ed altrettanta fede popolare. In ragione di siffatto interesse che precede ed accompagna gli eventi ormai imminenti, appare opportuno tracciare in breve la storia umana, sociale e di fede dei tre protagonisti, i Martiri Nicandro, Marciano e Daria, riproponendone provenienza, figure, ruoli sociali ed estremo sacrificio, unitamente ai profondi sentimenti del popolo venafrano nei loro confronti.

Nicandro e Marciano sono soldati dell’esercito romano, nel quale occupano posti di rilievo e responsabilità quali ufficiali; si vuole che superiore di grado sia Marciano, fratello maggiore. Sono originari della Mesia, l’odierna Bulgaria, e con truppe da loro comandate sono di stanza nell’importante colonia della Gens Julia, Venaphrum, per riportarne gli abitanti al paganesimo, essendosene quella popolazione allontanata per il crescente affermarsi del nuovo credo cristiano. Con Nicandro e Marciano raggiungono Venaphrum anche le rispettive famiglie, ossia Daria che è moglie di Nicandro, e Aldina, moglie di Marciano, dal quale ha avuto una figlia all’epoca degli avvenimenti di seguito descritti ancora in tenera età. I due fratelli però, che avrebbero dovuto cancellare il cristianesimo, vengono a loro volta affascinati dalle innovative idee cristiane  e ne restano a tal punto colpiti dal rinunciare a sacrificare agli dei pagani abbracciando in toto il cristianesimo, nonostante gl’inviti perentori di Roma perché perseguitassero i residenti nella colonia restii a rinnegare il cristianesimo. Daria e Aldina sono anch’esse, anche se in maniera diversa, coinvolte nelle vicende dei rispettivi mariti. Aldina ribadisce in ogni occasione piena appartenenza al paganesimo e cerca in tutti i modi di convincere Marciano ad abbandonare la nuova dottrina tornando al paganesimo. Per riuscire nell’opera di convincimento del marito si serve anche della figlia in tenerissima età che continuamente propone al padre, ribadendo più volte al consorte l’opportunità della scelta pagana per questioni di carriera militare e quindi socio/economiche. C’é di mezzo la carriera, il futuro e la famiglia -sostiene la coriacea e pagana Aldina- per cui bisogna assolutamente lasciar perdere il cristianesimo! L’uomo però non l’ascolta, è convinto delle proprie scelte e va avanti deciso. Diversa la situazione familiare di Nicandro. Con Daria non ha figli, ma può contare sulla piena e convinta fede della moglie. Questa lo sostiene apertamente nella lotta contro il potere pagano di Roma, lo aiuta a non cedere alle lusinghe che arrivano dall’Urbe, lo fortifica nella fede cristiana e quando si approssima l’ora del patibolo è vicina e determinata al fianco di Nicandro, perché affermi il nuovo credo senza tentennamenti e con assoluto coraggio in vista del premio eterno. L’uomo è già convinto di tanto e va verso il patibolo col sorriso sul volto, così come tutti i martiri dell’epoca. Nicandro e Marciano vengono condannati a morte e la loro esecuzione avviene per decapitazione il 17 giugno del 303 d.C., mentre a Roma imperava Diocleziano. Opinione popolare diffusa vuole che il boia abbia colpito là dove sorge oggi una colonna in pietra sormontata da una croce, eretta secoli dopo sul piazzale della Basilica del Santo Patrono per ricordare il punto esatto del martirio. Identica idea popolare accredita il loro seppellimento nella stessa zona del martirio, in quanto era lì ubicato il cimitero militare dell’epoca, dove appunto spettava riposassero i resti dei due fratelli in quanto ufficiali dell’esercito romano. Anche Daria viene condannata a morte per aver ribadito apertamente la fede cristiana. All’epoca però per le donne non é prevista la decapitazione, pena estrema per gli uomini, e soprattutto il loro martirio avviene di regola successivamente e con metodi diversi. Daria quindi viene martirizzata, ma a distanza di giorni dal marito e dal cognato.

Trascorrono secoli e nel 955 viene eretta la Basilica, ovviamente assai diversa dall’attuale, sul luogo del martirio e in ragione della crescente fede popolare dei venafrani e delle popolazioni dell’intero territorio circostante. Il luogo di culto è affidato in custodia ai monaci basiliani, ordine monacale assai diffuso all’epoca e successivamente scomparso. All’epoca dei resti mortali dei Martiri non c’è comunque traccia, ma fede e convinzione delle popolazioni del posto sono tali da fortificare sempre più l’idea che in loco siano avvenuti i martiri e come tale bisogna pregare ed aspettare eventi nuovi.

Tonino Atella

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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