VENAFRO – La storia umana e di fede dei Santi Martiri Nicandro Marciano e Daria

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VENAFRO – Altre centinaia di anni corrono via fino a quando circa sei secoli orsono la Basilica viene affidata in custodia ai Frati Minori Cappuccini Francescani, l’ordine religioso che attualmente lo cura con tantissimo amore.

E coi Cappuccini nell’attiguo Convento si arriva al 1930, quando per la determinazione e l’assoluta convinzione di due religiosi dell’epoca, P. Leone Patrizio e F. Angelantonio Carusillo, il primo Superiore del Convento venafrano ed il secondo monaco di cerca, i quali unitamente a volontari del posto  scavano nottetempo per un lungo periodo e senza preavvisi ed autorizzazioni nel sottosuolo dell’altare principale, grazie a siffatta determinazione -si diceva- viene finalmente alla luce il Sarcofago del Patrono San Nicandro, di cui i due religiosi erano convintissimi di trovar traccia!

Murate sulla destra del Sarcofago sono altresì rintracciate due sepolture, mai comunque portate successivamente alla luce, che si ritiene appartengano a Marciano e Daria. Così come tali sepolture non risultano ufficialmente ispezionate, altrettanto dicasi per il Sarcofago; in passato, aprendo un piccolo varco su un lato e introducendovi qualcuno a fatica un braccio, si vuole che siano state toccate ossa umane.

Per i venafrani trattasi dei resti del giovane e coraggioso ufficiale dell’esercito romano, Nicandro! Altri tre anni e nel 1933 l’allora Superiore del Convento e Custode alla Basilica, P. Guglielmo, procede alla sistemazione della Cripta, cui il popolo venafrano conferisce massimo decoro. Una bellissima gara cittadina di solidarietà fa sì che ognuno a Venafro dia e faccia quanto più possibile per abbellire la Cripta e renderla degna di ospitare i Martiri.

Operai, manovali, fabbri, commercianti, artigiani ect. l’aggiustano, l’abbelliscono e tanti sono coloro che si prodigano. Tra questi, due vanno segnalati: il fabbro Nicola Atella, che realizza e dona alla Basilica la particolare struttura di ferro a protezione del Sarcofago, e l’artigiano Arduino Cardines, che con le proprie mani dà forma al lampadario in ferro battuto (diametro ca. 2 mt. e 10 punti/luce) posto al centro della Cripta, illuminandola magnificamente.

Intanto prende corpo una forte e diffusa convinzione popolare: ossia che la Santa Manna, liquido che si raccoglie prodigiosamente e nei momenti più impensabili in una pietra concava in fondo al pozzetto sottostante l’altare principale della Basilica e a ridosso del Sarcofago senza essere collegata con alcuna rete idrica, abbia qualità miracolose.

Il popolo di Venafro e dei centri limitrofi le accredita infatti poteri superiori, bevendone o bagnandosi parti del corpo o porgendola ai malati. La fede nella Santa Manna è tanta e crescente che i devoti in continuazione, quando ce n’é …, ne chiedono ai Frati Cappuccini che volentieri la distribuiscono. La Santa Manna diventa così una realtà costante nella fede popolare e nei comportamenti quotidiani.

Ne sono testimonianza le centinaia di voti in argento, oro, stoffa, legno, ricami ed altri materiali che i fedeli fanno realizzare e donano al Convento per le guarigioni, “i miracoli” ricevuti e per la loro esposizione nel porticato conventuale come dimostrazione di cultura e fede nei confronti della Santa Manna e di riflesso dei Santi Martiri. La Santa Manna intanto continua a suscitare interessi diffusi. Non manca chi, scettico, chiede che si analizzi per accertarne la natura. Non è stato sin’ora fatto dalla Chiesa e con tutta probabilità le cose così resteranno.

L’importante per i venafrani, e non solo per loro,  è che la Santa Manna sia presente in fondo al pozzetto a ridosso del Sarcofago del Patrono a testimoniare -è questa l’opinione diffusa- l’amore del Santo nei confronti della città e delle opere dei suoi abitanti, parallelamente ad opportuni sistemi di vita del popolo. Una presenza preziosa quindi, questa della Santa Manna, ennesima conferma della fede popolare.

Tornando al passato, personaggi storici importanti hanno visitato e si sono genuflessi dinanzi ai resti mortali dei Santi Martiri di Venafro. Nel 1268 Carlo d’Angiò raggiunge la Basilica di San Nicandro alla vigilia della battaglia di Benevento, prostrandosi dinanzi all’altare della Cripta allora esistente. Papa Nicola IV nel novembre del 1290 concede indulgenza plenaria a quanti visitano la chiesa, il che testimonia l’assoluta importanza nel corso dei secoli di tale luogo di culto.

Tonino Atella

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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