CAMPOBASSO – Il presidente della Regione Molise, Donato Toma, sulla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, così commenta:
«Sono trascorsi cinquantanove anni da quando, a Salcedo, nella Repubblica Dominicana, furono rinvenuti i corpi delle tre sorelle Mirabal all’interno di un’auto in fondo a un dirupo. Si appurò che erano state barbaramente assassinate da agenti dei Servizi segreti del dittatore Rafael Leonidas Trujillo, che avrebbero voluto far passare la loro morte come un incidente stradale. Patria Mercedes, María Argentina Minerva, Antonia María Teresa facevano parte del “Movimento 14 di Giugno”, un gruppo che si batteva per l’affermazione della democrazia e dei diritti in quel Paese. La loro uccisione provocò una veemente reazione popolare che, di lì ad un anno, portò alla fine della dittatura.
Ci vollero vent’anni perché, nel corso del primo Incontro internazionale femminista di Bogotà, le sorelle Mirabal venissero commemorate e la loro storia assumesse un valore simbolico.
Il primo passo verso quella che diventerà una lunghissima lotta per il riconoscimento della violenza di genere, quale fenomeno sociale da prevenire e combattere, fu fatto con la Dichiarazione di Vienna del 1993: “I diritti umani delle donne e delle bambine sono parte inalienabile, integrale e indivisibile dei diritti umani universali. La piena ed eguale partecipazione delle donne nella vita politica, civile, economica, sociale, culturale, a livello nazionale, regionale e internazionale e lo sradicamento di tutte le forme di discriminazione sessuale, sono obiettivi prioritari della comunità internazionale. La violenza di genere e tutte le forme di molestia e sfruttamento sessuale, incluse quelle derivanti da pregiudizi culturali e da traffici internazionali, sono incompatibili con la dignità e il valore della persona umana e devono essere eliminate”.
Intanto, il 17 dicembre 1999, l’Assemblea generale della Nazioni Unite dichiarò il 25 novembre “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”.
Ma è con la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica dell’11 maggio 2011, più conosciuta come Convenzione di Istanbul, che sono state tracciate le linee per prevenire la violenza, dare protezione alle vittime, non lasciare impuniti i colpevoli.
In tale ottica, il Parlamento italiano, ad iniziare dalla XVII legislatura, dopo aver ratificato tale Convenzione, ha provveduto ad aggiornare il quadro normativo di riferimento, modificando il codice penale e di procedura penale con l’inasprimento delle pene, adottando un Piano straordinario contro la violenza di genere, prevedendo stanziamenti per il supporto alle vittime, istituendo una Commissione d’inchiesta sul femminicidio.
La Regione Molise ha fatto la sua parte, molte sono le azioni poste in essere a tutela delle vittime, dei loro figli e per la prevenzione del fenomeno. È stata costituita la Rete antiviolenza, sono operativi tre Centri antiviolenza, a Campobasso – ove ha sede anche la Casa rifugio – a Termoli e a Isernia. Oltre alla Casa rifugio e ai tre Centri antiviolenza, sono in corso di attivazione anche quattro Sportelli di ascolto negli Ambiti territoriali ad oggi sprovvisti di servizi: Agnone, Venafro, Riccia/Bojano e Larino. Inoltre, sono state recepite, da parte della Giunta regionale, le Linee guida nazionali per le Aziende sanitarie e le Aziende ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle donne vittime di violenza.
Purtroppo, frequenti episodi di cronaca evidenziano che il fenomeno della violenza di genere sia tutt’altro che in fase di regressione, nonostante le leggi tutelino le vittime della violenza e massicce campagne di informazione sensibilizzino l’opinione pubblica.
Occorre un deciso cambio di passo nell’approccio culturale della tematica, che tenda a stroncare l’idea di un “ego ipertrofico maschile”, latente e ipocritamente non manifesto, che di fatto è ancora troppo forte e persistente in taluni contesti sociali.
La violenza è la diretta conseguenza di uno stereotipo di ignoranza atavica, che affonda le radici in una sciocca concezione gerarchica di genere che tende ad imporsi con la forza.
Contro ciò dobbiamo continuare a lottare: è il modo migliore per celebrare la ricorrenza e dare un senso ad essa, al netto di enfasi e retorica».
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