VENAFRO – C’è sempre una “prima volta” nella vita di ognuno di noi. Mi piace raccontarvi di una delle mie di “prima volta”: la prima volta che vidi il mare…
Negli anni Cinquanta a Venafro c’era il vecchio, caro e semplice Oratorio. Si svolgeva nella sola chiesa di San Giovanni in Platea, più comunemente denominata “San Francesco”. La domenica mattina, detta chiesa, era letteralmente gremita di bambini, quasi tutti i ragazzini del paese, maschi e femmine. Prima di entrare in chiesa per la messa, la signorina Maria Siravo che aiutava il direttore don Luigi Valente, fondatore dell’Oratorio, praticava un piccolo foro su una “tesserina” personale per accertare la presenza in chiesa del bimbo, quella domenica. Questo serviva per la gita o le gite che si facevano ogni anno: ovviamente chi aveva più fori aveva la gita assicurata gratis, a chi ne mancava qualcuno “non succedeva niente”, a chi ne mancavano parecchi era “quasi gratis”. Ricordo la diligenza e lo zelo con cui la vecchia signorina, con i capelli bianchi, chiamata spontaneamente “direttrice”, svolgeva questo incarico fuori, alle porte della chiesa, “brandendo” la piccola perforatrice sulle teste dei bambini che le facevano ressa intorno: si innervosiva per l’impazienza dei piccoli, spesso li rimproverava, non delegava però nessuno per questo incarico. Facevano parte dello “staff” anche le catechiste, dai venti anni in su, e le vicecatechiste, appena adolescenti. La domenica, dopo la messa, ogni catechista e vice, con la propria sezione, si recava nella casa adiacente al Seminario (attuale sede del Carsic), all’interno del grande cancello e qui si svolgeva una breve lezione di catechismo. Nel primo pomeriggio, poi, sempre la domenica e sempre nella stessa chiesa, c’era la Benedizione del Santissimo Sacramento. (D’estate, all’improvviso, trovavamo sull’ampio spiazzale, dopo la Benedizione, il furgoncino del gelataio e c’era il cono per tutti. All’uscita del cimitero poi, quando si andava in visita per la festa dei morti, il lungo serpentone della fila, passava davanti al caldarrostaio, chiamato anche costui per noi e c’era, in un cartoccio, una grossa manciata di castagne per tutti). Per il fatto di essere io una vicecatechista, quella lontanissima domenica di luglio ebbi la gita (naturalmente gratis) a Formia. Le gite, per tornare a noi, erano eventi importantissimi nella vita dei bambini che frequentavano l’Oratorio. Allora non si viaggiava come oggi, le famiglie non possedevano l’automobile, perciò andare in gita a Gaeta, oppure a Roccaraso o in visita a basiliche limitrofe, da Castelpetroso alla Madonna dei Lattani, a Canneto e Montecassino erano quasi avventure. Si andava al mattino e si tornava nel tardo pomeriggio. Scalmanati, sudati, anche d’inverno, e con gli occhi brillanti dalla felicità. Quando il grosso torpedone ci scodellò proprio davanti al mare mi si mozzò il respiro. Ne avevo intravisto, già dalla corriera, la scia luminosa di uno scintillio azzurro dorato, ma ora, a quella distanza ravvicinata mi sentii sconvolta da tutto quell’azzurro e dovetti chiudere gli occhi perché non riuscivano a contenerlo tutto. Un po’ come Ciàula di Pirandellania memoria, quando quella volta che salendo dalla miniera si ritrovò nella notte in una “chiarità d’argento” e scoprì la luna che “Grande, placida, come in un fresco, luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia”. Era la prima volta che pure io “scoprivo” il mare e quella sensazione di sgomento per quella immensa incommensurabile bellezza mi è rimasta per tutta la vita. Ancora adesso, anche se lo guardo solo in televisione, il cuore mi fa qualche carambola! E se dovessimo pagare il biglietto per poterlo vedere solo un po’? Non diamo per scontato niente e non solo il mare, ma anche il sole e le stelle… la pioggia e il vento… il volto di un amico. Lo stupore, ogni volta come se fosse la prima, ci eviterà tristezze e ci ridarà coraggio ed entusiasmo. Questo piccolo episodio voleva essere solo un pretesto per un augurio e una certezza grandi… come il mare: tornare al più presto a stringerci la mano e non solo formalmente e ad essere sempre vicini gli uni agli altri, come adesso lo siamo idealmente, soprattutto con chi fisicamente combatte negli ospedali e nei posti di lavoro per non fermare la vita. Dopotutto non siamo sempre un popolo di santi, poeti e navigatori?
Rosaria Alterio
© RIPRODUZIONE RISERVATA