VENAFRO – Pomeriggio di approfondimento culturale nella Palazzina Liberty con il libro verità del giornalista molisano Paolo De Chiara.
Come pure in altre occasioni, l’Auser ha nuovamente dimostrato il suo interesse verso l’impianto culturale che è il modo più valido per dare voce alla necessità di trasmettere l’importanza della conoscenza e dell’informazione. L’ha sottolineato pure il primo cittadino Alfredo Ricci, presente all’iniziativa, affermando che l’impegno sociale e culturale a cui si ispira l’associazione rappresenta una costante a cui fare riferimento.
Ci sono poi presentazioni di libri che lasciano il segno come quella che si è tenuta ieri, perché discutere pubblicamente di camorra fornendo le coordinate giuste che indichino la strada da intraprendere per cambiare le cose, è una possibilità che ancora oggi corre su un filo di lana che rischia di spezzarsi ad ogni parola nuova. Va da sé che la storia di un uomo comune pronto ad affrontare e scalfire il sistema corrotto che ha contaminato e contamina ancora la buona parte delle attività di questo paese non può ridursi a un pedissequo e distratto ascolto che si infrange in modo cadenzato con l’applauso fragoroso di una platea ristretta. Il racconto deve valere come monito, come insegnamento, come esempio di vita da imitare. Testimone di giustizia è la persona comune, il cittadino incensurato che viene a conoscenza di fatti illeciti e decide di non voltarsi dall’altra parte ma di denunciare fornendo dichiarazioni preziose nei procedimenti penali di criminalità organizzata. Non collaboratore, non pentito, non criminale ma persona per bene che decide da quale parte stare testimoniando quella verità contro la quale si scagliano ancora in tanti.
Una figura talmente lontana perché improbabile da definire e che nemmeno la legge, fino a qualche anno fa, era in grado di rubricare spiegare tutelare. Bisognerà attendere il 2018 per avere tra le mani la normativa che disciplinerà in maniera organica la protezione dei testimoni di giustizia.
L’ha chiarito molto bene il Procuratore d’Isernia Carlo Fucci, il quale attraverso il racconto personale di un episodio accaduto negli anni Novanta che l’ha portato ad occuparsi di uno dei primi casi assimilabili al mondo del testimone di giustizia, ha riferito tutte le difficoltà incontrate nel dover prendere decisioni che potessero tutelare quello che era non un pentito, non un criminale ma una persona a conoscenza di fatti delittuosi e rispetto alla quale non esisteva normativa che potesse sancire in maniera dettagliata un servizio di tutela, un percorso di protezione, una via per garantire la gestione personale, fino ad allora riconosciuta solo per proteggere i pentiti. Soltanto qualche anno più tardi verrà inserita la distinzione tra collaboratore e testimone di giustizia. Una differenza sostanziale alla quale nessuno era abituato nemmeno il legislatore, perché inverosimile se non improbabile immaginare di doversi occupare di una figura tanto nuova nel panorama della società italiana, così restìa, così estranea all’idea di potersi ribellare all’ingiustizia, alla corruzione, in definitiva al modus operandi di una comunità fedele alla frase più pericolosa di sempre: così si è sempre fatto.
Citando Pasolini, il giornalista e scrittore Paolo De Chiara ha puntato il dito sulla fonte della dimenticanza, sulla memoria perduta di un paese che vuole muoversi stando fermo, che non si converte, che continua a fare gli stessi errori specie quando nella cabina elettorale perde l’occasione di far sentire la propria voce. Indignarsi durante le ricorrenze che fanno tornare alla memoria il sacrificio di personaggi che hanno deciso di non voltarsi dall’altra parte, come Falcone, Borsellino, Lea Garofalo, Rita Atria, Giancarlo Siani, Peppino Impastato, non basta perché non fa la differenza. La presentazione di un libro sull’antimafia serve magari a raccogliere consensi per un paio d’ore ma la verità e il coraggio, come ha tuonato il giornalista, vanno sostenuti ogni giorno facendo il proprio dovere. E se anche la parola ‘legalità’ con la sua sterile ripetizione svuotata di significato diventa inutile, allora bisogna aggrapparsi all’idea che la conoscenza è il primo passo per cambiare. Tempio della conoscenza è la scuola, voce fuori dal coro è quella di Paolo De Chiara che si proietta in un caleidoscopio di suggerimenti e consigli che meritano di essere accolti tra i banchi di scuola, pertanto è proprio lì che se ne auspica la presentazione, nell’ingranaggio di un progetto educativo antimafia.
È indubbio infatti che il cambiamento deve partire dalle menti giovani, custodi del futuro in un mondo da stravolgere nel presente.
Federica Passarelli
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